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20 Dicembre 2011
Criticità della filiera del latte

Premessa

Le scriventi Associazioni di Categoria segnalano alle S.V. l'aggravarsi della situazione economico-finanziaria degli allevamenti di ovini della Provincia di Grosseto a seguito della recente rottura del tavolo di trattativa regionale interprofessionale. La mancanza di un'attenzione collettiva sull'entità e misura del problema rischia di produrre pesanti ricadute su un settore economico trainante la nostra economia locale, sia dal punto di vista commerciale, occupazionale, nonchè presidiale di territori soprattutto marginali e collinari con rischio di dissesti idrogeologici e ambientali.
Che il settore dell’allevamento ovino in Toscana stia attraversando una grande crisi è dimostrato dal pesante ridimensionamento che ha subito negli ultimi 15 anni. Dal 1995 ad ora infatti si è verificata una riduzione del 38% del numero degli allevamenti (da 5000 a poco più di 3100) e del 25% del numero di capi ( da 603.000 a 446.000) e questo fenomeno è in aumento. Ciò significa che molte piccole-medie imprese hanno chiuso, mentre le altre sono state costrette ad aumentare il numero di capi – con conseguente aumento dei costi di produzione e di adeguamento delle infrastrutture – per poter sopravvivere.
Il prezzo con cui viene pagato il litro-latte  non è  neppure sufficiente a ripagare le spese per produrlo. Recenti studi universitari dimostrano che per produrre un litro di latte occorra circa 1 euro al litro escluso iva, mentre il prezzo proposto dai caseifici non arriva ai 73 centesimi escluso iva, si produce cioè con il oltre 25% in meno del prezzo che occorrerebbe per coprire i costi produttivi. Recentemente si è interrotta la trattativa regionale lasciando gli allevamenti in un clima di incertezza e disperazione. In assenza della definizione di un prezzo regionale del latte ovino, il potere decisionale resta in mano ai Caseifici, che sfruttano la mancanza di coesione del mondo allevatoriale per adottare politiche meramente speculatorie e dannose per il sistema. Le strutture di trasformazione difendendosi spesso dietro la scusa, spesso non realistica, della stagnazione delle vendite e della crisi del mercato, continuano ad abbassare il prezzo di acquisto della materia prima ma non accennano a diminuire il prezzo del chilo formaggio venduto alla grande distribuzione organizzata.
Ma chi paga il prezzo della recessione e della stagnazione delle vendite è soprattutto il produttore, cioè l’allevatore.
Tutto questo nonostante i costi di produzione (manodopera, gasolio e altro), i rincari inflattivi e il costo medio della vita siano aumentati per tutti, non solo per i caseificatori.
E’ evidente che l’onere della recessione del comparto è solamente a carico dell’allevatore che vede nel 2011 il latte costare come nel 1997, cosa che invece non avviene per il prezzo di vendita del formaggio.
 La cosiddetta Forbice di Filiera si sta allargando sempre di più; i caseifici sono sì soffocati dalla grande distribuzione che si accaparra il 53% della fetta, ma mantengono inalterata e addirittura aumentano la propria portandola a circa il 35%, questo ai danni dell’allevatore a cui rimane solo il 12%.
Il prezzo è imposto dal caseificio al ribasso adducendo la scusa che esternamente alla Toscana il latte ovino è pagato meno, dunque risulta più conveniente comprarlo altrove, salvo poi ostentare al limite dell'ingannevolezza promozionale appartenenze territoriali toscane o presunte tali. Ma al di là del fatto che altre realtà economiche sono ben diverse da quella Toscana, per cui l’allevatore riesce a rientrare nelle spese anche a queste condizioni, perché il Pecorino in Toscana deve essere prodotto con il latte non toscano? Non si parla, sia chiaro, del pecorino DOP ovviamente controllatissimo dal Consorzio di Tutela ma che comunque occupa soltanto il 5/6% del mercato, ma di tutto quel formaggio che, prodotto in Toscana con latte anche non Toscano, evoca in etichetta la regionalità e la tipicità del prodotto (Es.: La Maremmina, Caciotta Amiatina, Pecorino di Maremma etc……).
Questo è l’inganno a cui è sottoposto il consumatore ignaro!
Spingiamo quindi verso l’applicazione di criteri di rintracciabilità e di etichettatura che pongano il consumatore di fronte ad una scelta legittima  e chiara!
E’ per questo che gli allevatori Toscani si battono, perché entrino in vigore quelle leggi sulla rintracciabilità del prodotto di cui tanto si parla. Gli allevatori non vogliono certo forzare le leggi del libero mercato, chiedono semplicemente un prezzo equo che consenta loro di sopravvivere.
            Non dimentichiamo che la realtà pastorale toscana rappresenta una ricchezza economica, sociale oltreché un presidio ambientale.
Si tratta infatti di una realtà tipica e tradizionale del territorio toscano, così amato dal turismo mondiale. Per preservare questa realtà gli allevatori lanciano un appello alle Istituzioni: di vigilare sui ricarichi folli dei prezzi e agire sulle filiere per accorciarle e per ottenere maggiore trasparenza.
           
Recenti sviluppi della trattativa
            La proposta fatta dai trasformatori privati in sede della trattativa regionale di alcuni giorni fa suona per Confagricoltura, Cia e Coldiretti come una vera e propria dichiarazione di guerra nei confronti del comparto produttivo e delle Istituzioni. Infatti, a fronte di una richiesta circostanziata, sofferta, seria e commisurata al mercato dei costi di produzione, che avrebbe permesso, se accettata, la sopravvivenza del settore seppur con gravi sacrifici, della parte della produzione, ottenuta peraltro attraverso numerosi confronti sul territorio con la base rappresentata da parte di Cia, Coldiretti e Confagricoltura, abbiamo di contro, una provocazione vera e propria, dove si parla di prezzo iva compresa, addirittura di riduzione dei pagamenti, soprattutto nella fascia di maggiore produzione e cioè quella primaverile. Si ricorda che nell'anno 2011 il prezzo era calato di circa 5 centesimi perché come al solito era stato chiesto un sacrificio alla compagine produttiva a fronte di una grave crisi congiunturale. Paradossalmente, secondo noi provocatoriamente, visto che il latte bovino ha subito un recente seppur lieve aumento, si vorrebbe ulteriormente ridurre il pagamento alla base, un proposta indecorosa, lesiva della dignità professionale della categoria dei pastori che offende un intero settore impegnato giornalmente anche per attività di beneficio sociale come il mantenimento del territorio e della valenza paesaggistica.
            Viste anche le recenti manovre del governo sull'iva avevamo come sindacati richiesto che si parlasse di pagamento imponibile come avviene per tutte le altre materie prime, infatti i regimi fiscali di molte aziende agricole oggi non consentono il recupero dell'iva che diventa un peso, la proposta dei produttori prevedeva quindi un prezzo a cui aggiungere l'iva, in sede di trattativa non si è avuta nemmeno la sensibilità di accogliere questa istanza legittima. La componente della trasformazione ha in un colpo di spugna cancellato anni di concertazioni, di discussioni su una tabella su cui si era trovata una quadra accettata da tutti in subordine ad un prezzo dignitoso, e soprattutto dimostrato di non avere interesse alcuno a tutelare la produzione toscana di latte ovino, laddove anche le Istituzioni regionali si erano impegnate con finanziamenti e studi di settore. Interesse per il latte toscano che la trasformazione invece sembra riversare ampiamente sulla promozione del chilo formaggio venduto al consumo con riferimenti territoriali e collegamenti alle nostre zone maremmane che se analizzati attentamente hanno ragion d'essere soltanto in virtù del luogo di trasformazione in barba all'origine della materia prima. Quindi in pratica i caseifici privati si disinteressano dell'origine della materia prima quando comprano il latte e ne fanno bandiera di promozione quando vendono il formaggio. Come rappresentanti della produzione questo aspetto rimane indigeribile e ci spingerà ad azioni chiarificatrici nei confronti dei cittadini entrando nel merito della questione con numerosi strumenti operativi attualmente in fase di studio.
            Confagricoltura, assieme a Cia e Coldiretti, non intendono abbassare lo sguardo su un problema così eclatante e intendono mettere in campo tutti gli strumenti sindacali di sensibilizzazione nei confronti istituzionali e sociali, per far scagionare l'eventualità che un comparto produttivo che contraddistingue in particolare la sfera produttiva grossetana e che ha ripercussioni benefiche per l'intera società subisca il definitivo colpo di grazia, tanto temuto in questi ultimi che anni che mai come oggi sembra prossimo al verificarsi.

      Coldiretti           Confagricoltura                Cia

Francesco Viaggi      Antonfrancesco       Enrico Rabazzi
                            Vivarelli Colonna

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