40 mila ettari di grano in meno in maremma in 40 anni. La dipendenza dall’estero di frumento dipende anche dalla spaventosa riduzione delle superfici destinate alla coltivazione di frumento duro e tenero in Toscana, e così in tutto il paese. A dirlo è Coldiretti Grosseto sulla base dei dati Istat. “Siamo di fronte ad un errore strategico di cui le imprese agricole sono le prime vittime. Potremo aumentare notevolmente la nostra capacità di produrre materie prime essenziali per la nostra alimentazione ma non ci sono le condizioni. – analizza il Presidente di Coldiretti Toscana e Delegato Confederale per Grosseto, Fabrizio Filippi - Per tornare a coltivare con costanza ed aumentare le produzioni deve essere garantito almeno il costo di produzione alle imprese. Oggi non accade. Serve un vero patriottismo alimentare”.
Basti pensare che le superfici di grano duro per la produzione della pasta si sono ridotte del 58% dal 1982 passando da 34 mila ettari agli attuali 14 mila ettari che garantiscono una produzione di 550 mila quintali di grano mentre quelle del grano tenero per fare pane e dolci dell’84% per attestarsi dal 2000 ad oggi intorno ai 3 mila ettari per una produzione di 110 mila quintali. Lo stesso è accaduto per il mais per alimenti da zootecnia: nella maremma si coltivano appena 100 ettari (-97% rispetto al 1982). La ragione di questa progressiva ritirata è da ricercare nel proliferare fuori controllo degli ungulati, diventati una vera e propria calamità per la cerealicoltura toscana e nei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori perché molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera sostenuti dalla Coldiretti. “Ci sono le condizioni produttive, le tecnologie e le risorse umane per ridurre la dipendenza dall’estero – rilancia il presidente di Coldiretti Toscana - La pandemia e la crisi ucraina ci stanno dando un grande insegnamento. Produrre cibo è un tema strategico di sicurezza nazionale. La pandemia prima, oggi il conflitto, devono porre questo tema al centro dell’agenza del Governo”.
Non si profilano, al momento all’orizzonte, problemi alle scorte di grano: “I nostri granai hanno un’autonomia di almeno due-tre mesi e questo significa che se le forniture dall’estero continuano ad arrivare non avremo problemi particolari. Dovremo averne abbastanza fino alla prossima mietitura a giugno. Molto dipenderà dall’evoluzione del conflitto per cui noi tutti preghiamo per una soluzione di pace rapida e duratura. – conclude Filippi – Il problema più attuale è il prezzo del grano tenero mai così alto dal 2008, 37 euro al quintale, in continua salita, così come per il grano duro oltre i 50 euro al quintale, per mais e soia che rappresentano la base dell’alimentazione del bestiame e da cui dipendiamo in buona parte dalle zone interessate dal conflitto. Di questo passo il settore sarà spazzato via. Bisogna fare di tutto per non far chiudere le aziende agricole e gli allevamenti sopravvissuti con lo sblocco di 1,2 miliardi per i contratti di filiera già stanziati nel Pnrr, ma anche incentivare le operazioni di ristrutturazione e rinegoziazione del debito delle imprese agricole e fermare le speculazioni sui prezzi pagati degli agricoltori con un efficace applicazione del decreto sulle pratiche sleali”.